Come tutti i giorni, dal suo
ritorno dal Vietnam, stava seduto sopra la sedia a rotelle, a guardare dalla
finestra, la gente che passava nella strada sotto la sua piccola abitazione. Pioveva,
un temporale violento, erano anni che non si verificava uno di tale grandezza,
il cielo sopra Chicago era completamente nero. L’acqua, che picchiava sul vetro
della finestra, formava delle figure astratte e questo faceva ricordare, al
trentaquattrenne Robert, i tempi passati in trincea, laggiù nell’inferno del
Vietnam, la quale esperienza gli aveva lasciato solamente due gambe
paralizzate, dallo scoppio di una mina, e degli squilibri in testa, dapprima
saltuari e ora sempre più frequenti. L’atmosfera era molto tenebrosa e questo
alimentava in lui uno stato di paura, era da molto tempo che si sentiva
perseguitato. Fu verso l’una di notte che squillò il telefono, Bob attese
qualche attimo prima di rispondere e quando lo fece, dall’altra parte dell’apparecchio
non ottenne alcuna risposta. Questo fatto, suscitò ancora più disagio nella sua
mente, era già capitato molte volte. Mentre era immerso nei suoi pensieri, Bob
sentì dei passi che salivano le scale, in legno, della sua abitazione, a
tastoni in quanto tutta la stanza era al buio, illuminata solo dalla luce di
un’insegna pubblicitaria, Robert trovò la sua colt nel cassetto vicino al
divano. Stette qualche secondo immobile, trattenendo perfino il respiro, e fu a
quel punto che sentì l’uomo fermarsi davanti alla sua porta. Un attimo dopo,
quell’estraneo stava tentando di aprire la porta, mille sensazioni e pensieri
assalirono Robert; quell’uomo voleva ucciderlo. Passarono alcuni attimi, poi la
porta si aprì e come apparve l’ombra della figura all’interno della stanza, Bob
sparò.
“Suicidio” sentenziò
l’Ispettore O’Brien della sezione omicidi, trovando la mattina seguente il
corpo di Robert, seduto di fronte alla finestra con la pistola stretta nella
mano destra e un foro di arma da fuoco nella tempia destra.
M.M.