giovedì 17 ottobre 2013
lunedì 14 ottobre 2013
Amicizia
Questa è la storia di un’amicizia,
vera, nata sui banchi di scuola e continuata per cinquant’anni tra gioie e
dolori, tra sorrisi e pianti, tra due uomini che il destino aveva creato
diversi. Tutto cominciò alle medie quando il ripetente Mario, ragazzo dal
carattere estroverso, entrò nella nuova classe, era come al solito in ritardo e
l’unico posto libero era accanto al giovane Gian Maria, timido e introverso. Mario,
che era considerato molto in dalla sua generazione, si sedette accanto a quel
mingherlino e occhialuto nuovo compagno con un’aria quasi disgustata, ma nel
giro di qualche giorno, nacque una salda amicizia resistita nel tempo.
Sebbene avessero caratteri differenti,
i due andavano molto d’accordo e avevano molti interessi in comune, amavano il
cinema e spesso guardavano i film insieme, ascoltavano lo stesso genere di
musica e a entrambi piaceva il calcio.
Mario era un ragazzo alto, con un
fisico atletico, era biondo con gli occhi azzurri e piaceva molto alle ragazze,
Gian Maria era alto, secco, con i capelli e occhi neri e con le ragazze non era
proprio fortunato, con lo sport non andava tanto d’accordo ma con lo studio era
formidabile, era intelligente, era curioso e li piaceva sapere e di conseguenza
studiare e riusciva ad ottenere buoni risultati con il minimo impegno, a
differenza del suo amico e compagno che voglia ne aveva poca e faceva molta
fatica a ottenere voti sufficienti, lui però faceva sport e lo faceva bene, era
considerato una buona promessa nel calcio giovanile.
Le medie passarono ed entrambi s’iscrissero
al Liceo, Mario se ne pentì subito il primo anno ma riuscì a passare e convinto
dal suo amico cominciò anche il secondo, Gian Maria naturalmente non ebbe
problemi con il primo anno e nemmeno con gli altri quattro e nemmeno dopo, era
brillante e sicuro di sé nell’ambito scolastico, molto meno fuori. Mario a metà
del secondo anno smise, anche se il suo amico cercò in tutti i modi di
convincerlo a rimanere, studiavano insieme e Gian Maria cercava di aiutarlo in
tutti i modi possibili, arrivò perfino a fare i suoi compiti ma Mario non aveva
assolutamente voglia di studiare, lui amava giocare a pallone e correre dietro
a tutte le ragazzine che li capitavano a tiro. Smise di studiare e siccome
veniva da una famiglia operaia, aveva tre fratelli più piccoli e lavorava solo
il babbo, decise in accordo con i genitori di andare a lavorare e trovò un
impiego come cameriere in un ristorante del paese. Gian Maria continuò in
maniera egregia la sua carriera scolastica ottenendo ottimi risultati e
diplomandosi con il massimo dei voti. Nel tempo libero, naturalmente, i due
ragazzi s’incontravano per ascoltare musica o vedere un film e quando non si
potevano vedere, stavano parecchi minuti al telefono. Il sogno di Gian Maria
era diventare politico perché voleva fare del bene al suo paese e per avverarlo
s’iscrisse alla facoltà di scienze politiche, era un ragazzo retto e onesto, di
una moralità a volte anche esagerata, sempre pronto ad ascoltare i problemi
degli altri e molte volte ad aiutarli, era legato a molti gruppi di
volontariato e mai aveva accettato soldi per farlo e al tempo stesso avrebbe
preteso che anche gli altri facessero come lui, che chiedeva sempre lo
scontrino o fattura e che non accettava mai con una promessa di sconto di pagare
qualcosa in nero. Era uno di quelli che se sbagliavano a fargli il resto a pro
suo rendeva immediatamente la differenza, non scaricava mai illegalmente musica
o film o programmi per PC ma preferiva comprare l’originale, molti dicevano che
faceva così perché la sua famiglia era benestante e facoltosa, ma il suo amico
Mario lo difendeva dicendo che questo era il suo carattere, il suo modo di
fare, perché lui fosse stato al posto del suo amico, non lo avrebbe fatto,
perché uno nasce come nasce, e, infatti, lui non lo faceva, lui scaricava
illegalmente, se poteva risparmiare quando acquistava non gliene fregava niente
di scontrini e fatture. Lui aveva trovato un portafoglio con dentro tre
biglietti da cento e li aveva tenuti, il portafoglio con i documenti lo aveva
fatto riavere al proprietario ma i soldi no. Gian Maria lo criticava sempre
dicendogli che se tutti avessero fatto come lui il mondo sarebbe andato meglio,
che tutti avrebbero pagato meno tasse e vissuto con meno affanni, che se ognuno
di noi avesse pensato anche agli altri sarebbe stato un mondo migliore e invece
viviamo in un mondo dove l’egoismo fa da padrone. Discutevano parecchio su
queste cose, ma l’amicizia fra loro era più forte di tutto questo e Mario ogni
volta, alla fine della loro discussione, gli diceva che quando lo avrebbe visto
al governo avrebbe cambiato il suo comportamento, perché di lui si fidava e
sapeva che avrebbe cercato di cambiare le cose ma con quelli che c’erano ora,
era giusto fare così, loro mi rappresentano, diceva sempre, e mi devono dare il
buon esempio, rubano loro e allora rubo anch’io, loro pensano solo a se stessi?
E allora lo faccio anch’io! Gian Maria ogni volta sorrideva e finivano ridendo
e scherzando magari davanti ad una buona birra o un ottimo film. Durante il periodo
dell’Università successero alcuni fatti importanti nella vita dei due amici,
naturalmente per la lontananza i due si frequentavano meno, ma ogni giorno si
telefonavano tenendosi sempre informati, Gian Maria si era fidanzato con una
ragazza bionda e aveva capito subito che sarebbe stata la donna della sua vita,
Mario invece ebbe una serie di spiacevoli disavventure che cambiarono la sua
vita, quella che scatenò il turbinio di avvenimenti negativi fu la rottura dei
legamenti del crociato del ginocchio destro e la frattura della tibia e del
perone della gamba sinistra, improvvisamente in un piovoso pomeriggio di una
domenica invernale quello che era un buon giocatore diventò un calciatore con
la carriera finita e le conseguenze furono molto negative. Dovette stare molto
tempo a riposo e questo contribuì a farlo ingrassare in maniera esagerata, si
ritrovò all’interno di un vortice depressivo che lo condusse a bere troppo e
provare alcune droghe, aveva perso il lavoro e non avendo soldi era
completamente a carico dei genitori, e questo moralmente lo abbatteva. Gian
Maria era affranto di non poter essere vicino a lui in quel momento, lo
chiamava tutti i giorni, ma non era come essere lì con lui. Gli anni passarono e
le vite di entrambi erano inversamente proporzionali, Mario non si era mai
ripreso totalmente dal grave infortunio che aveva interrotto la sua carriera e
di conseguenza il suo sogno, ma riuscì lo stesso a ritagliarsi un piccolo
spazio nella società, aveva aperto una trattoria a gestione familiare con i
propri fratelli, non faceva più uso di droghe e beveva di tanto in tanto,
seguiva il calcio solo per fare scommesse e si era sposato con una ragazza
brasiliana. Non aveva più interesse per le donne come un tempo ed anche loro lo
avevano perso nei suoi confronti, il suo fisico era peggiorato parecchio, aveva
messo la pancia, gran parte dei folti capelli lo avevano abbandonato, non si
curava più come una volta e il terribile incidente gli aveva lasciato una
leggera zoppia. Gian Maria invece, a differenza del suo amico, era migliorato
molto e ora era lui quello che riscuoteva successo con le donne, anche se è
stato sempre fedele al suo unico amore, la ragazza conosciuta all’università,
diventata in seguito sua moglie, aveva ancora in essere il suo sogno, quello di
arrivare a governare il suo paese, per il momento era sindaco di un paese
vicino alla sua città universitaria e stava lavorando bene, sempre con la sua
moralità e con la sua onestà. L’amicizia fra i due continuava a essere molto
forte, entrambi erano stati partecipi come testimoni ai rispettivi matrimoni e
come potevano si ritrovavano per mangiare qualcosa insieme o per vedere qualche
film di nuova uscita, e così continuò negli anni, anche le mogli erano
diventate amiche e pure i figli spesso si ritrovavano. Mario seguiva
giornalmente la vita politica dell’amico e quando finalmente si avverò il sogno,
lui era felicissimo per quel ragazzo magrolino e occhialuto che era riuscito ad
arrivare come leader del proprio partito a governare il paese, come aveva
desiderato fin da bambino. Mario organizzò feste al paese per celebrare
quell’evento e organizzò anche un pullman per andare fino a Roma per sostenere
il suo grande amico. Gian Maria fu felice di dividere il suo momento
straordinario con l’amico di sempre e riuscì a passare una vacanza con lui e le
loro rispettive famiglie prima di dedicarsi completamente a salvare il paese.
Nei mesi a seguire si videro sempre
meno, dato l’impegno che aveva Gian Maria, ma riuscivano lo stesso a sentirsi
telefonicamente anche se non tutte le sere.
Gian Maria combatteva giornalmente
contro gli avversari ma anche contro i propri compagni, per cercare di attuare
i buoni propositi che aveva e che pensava di introdurre nella società, ma era
dura riuscire a sovvertire anni e anni di pensieri, ideologie e abitudini.
Mario, a conoscenza delle difficoltà
che trovava il suo amico, cercava di infondergli coraggio e lo spronava a
continuare, d’altronde Gian Maria aveva fatto lo stesso con lui al momento
dell’incidente e con la sua grande amicizia era riuscito a non farlo
sprofondare in un baratro senza uscita e a fargli riprendere una vita normale.
La situazione però nel giro di poco
peggiorò in maniera ascendentale, le telefonate da parte di Gian Maria si
dilatarono fino a non esserci più e peggio ancora non si faceva mai trovare al
telefono dal suo amico d’infanzia, Mario allora cercò la moglie e dopo essere
riuscito a farsi spiegare come stavano le cose, decise di andare a Roma a
trovarlo.
L’incontro dei due fu un casuale
ricercato da parte di Mario, dopo aver cercato di rintracciarlo tramite
segretarie e affini, lo aspetto fuori dal Quirinale, lo pedinò e al momento
opportuno si presentò davanti a lui. Il suo amico rimase sbalordito nel
vederselo di fronte, ma poi lo abbracciò e pianse dalla gioia, si liberò degli
impegni che aveva e decisero di andare a mangiare qualcosa in una trattoria
lontana da occhi e orecchi indiscreti. Dopo aver parlato dieci minuti del più e
del meno, Mario chiese all’amico cosa stava succedendo, il quale probabilmente
non aspettava altro che confidarsi con qualcuno di fidato e cominciò a
raccontare l’ultimo periodo della sua vita. Dal racconto venne fuori un uomo
che Mario stentava a riconoscere, uso di cocaina, orge con ragazzine qualcuna
probabilmente anche minorenne, sotterfugi politici, bustarelle in cambio di
piaceri, decreti che avrebbero ancor più affondato il paese, false
testimonianze, appropriazioni indebite d’ingenti somme di denaro, strategie
disoneste per affondare vari nemici politici e tutto questo per rimanere
attaccato alla poltrona governativa. Un calcio migliore di quelli che tirava
lui a un sogno inseguito da sempre.
Gian Maria dopo aver svuotato il sacco
rimase con lo sguardo basso sul piatto, non aveva coraggio di guardare ancora
negli occhi quella persona seduta davanti a lui, quello con cui aveva vissuto
moltissime esperienze, con cui aveva condiviso anni della sua vita, con lui,
con il suo migliore amico.
Mario stette in silenzio per qualche
minuto, ciò che aveva sentito uscire dalla bocca del suo amico lo aveva
psicologicamente devastato, non lo riconosceva più, si arrivò a domandare se
era veramente lui o una controfigura molto somigliante, ma poi capì la
difficoltà che stava provando Gian Maria e dopo averlo preso per mano gli offrì
la sua completa disponibilità per riuscire a salvare il salvabile e farlo
ritornare a essere come lo conosceva, la persona onesta e moralista che era una
volta.
Gian Maria lo ringraziò ed ebbe subito
la convinzione che la cosa migliore da fare era seguire i consigli dati dalla
persona che lo conosceva meglio, di cui si era sempre fidato, e che lo aveva
sempre difeso e aiutato fin da piccolo. Finirono di mangiare senza più parlare
di quello specifico argomento e poi andarono a vedere un film d’Essai.
Il giorno dopo partirono per una breve
vacanza, solo loro due, e appena tornarono Gian Maria dette, nello
sbalordimento generale, le dimissioni dalla carica di Presidente del Consiglio e dopo aver sbrigato
le varie pratiche e sistemato le proprie cose, si ritirò nel suo paese natio
con la famiglia. Confessò tutto anche alla moglie che lo comprese e perdonò e
con l’amico del cuore rilevò il bar della piazzetta centrale. Non aveva più lo
stile di vita che aveva avuto negli ultimi anni, ma riacquistò la propria moralità,
l’onestà e la dignità, che aggiunti all’amore della famiglia e alla grande
amicizia con Mario lo resero l’uomo più felice al mondo. Non aveva raggiunto il
proprio sogno di far felice il suo paese, ma era felice lui e questo gli
bastava, anche Mario era felice di aver ritrovato il suo vero amico, anche se a
volte, quando discutevano per qualche scontrino non fatto, rimpiangeva
scherzosamente di averlo fatto ritornare com’era.
Michele
Lupus in fabula
I ricordi di quando ero bambino sono
tanti, per lo più piacevoli, ma quello che rammento continuamente è quello che
riguarda il mio rapporto con gli animali. Premetto che essendo nato e vissuto
fino alla maggiore età in una piccola fattoria vicino a un paesino di montagna,
ho sempre vissuto a contatto con animali, galline, conigli, pecore, cavalli,
maiali, gatti e cani erano come si vuol dire di casa. Ho sempre avuto quindi un
buon rapporto con loro, li governavo e con alcuni di loro giocavo e passavo le
mie giornate, i rapporti che avevo con ognuno di loro naturalmente erano
diversi per vari motivi, alcuni lavoravano per la fattoria e altri erano più da
compagnia ed io vivevo quasi in simbiosi con il vecchio Jack un bellissimo
pastore maremmano. Purtroppo quando avevo otto anni il mio compagno di giochi
morì di vecchiaia dopo qualche mese di sofferenza ed io piansi molto per la sua
dipartita e per la mancanza della sua compagnia. Destino volle che qualche
giorno dopo, accompagnando il nonno nel bosco a cercare i funghi, trovammo
quello che a prima vista mi sembrò un cucciolo di cane, ma che in seguito
scoprii essere un piccolo lupo, e dietro una mia insistente e piagnucolante
richiesta di portarlo a casa, fui accontentato da mio nonno. L’arrivo alla
fattoria per il piccolo Diablo, così avevo chiamato il lupetto, non fu dei più
accoglienti, i miei genitori e pure la nonna rimproverarono sia me sia mio
nonno, dicendoci che non era assolutamente il caso di portare a casa il lupo,
perché ora era carino e divertente ma quando sarebbe cresciuto e lo avrebbe
fatto velocemente, sarebbe potuto diventare pericoloso sia per noi sia per gli
animali presenti in fattoria, un lupo, secondo loro, non si può addomesticare
perché il suo istinto rimane quello di predatore e quindi sarebbe dovuto
rimanere dove era, ma dietro le mie insistenze decisero di farmelo tenere, con
la promessa che al primo accenno della sua innata pericolosità, avrei dovuto
lasciarlo libero di essere quello per cui era nato. Accettai convinto che
quello che pensavano loro non sarebbe mai accaduto, infatti Diablo crebbe
velocemente, ma dimostrò di essere un pacifico compagno di gioco ed anche gli
altri animali presenti nella fattoria, che inizialmente lo tenevano alla larga,
cominciarono a fidarsi e a stare tranquillamente con lui, passammo giornate
meravigliose insieme, giocavamo, facevamo lunghe passeggiate, spesso veniva con
me a pascolare le pecore ed era pure bravo nel farle rigare dritte, quando
qualcuna si allontanava dal gregge, lui riusciva a riportarle nel gruppo,
vivemmo sei anni insieme quasi in maniera morbosa, come potevamo stavamo
insieme, dormiva perfino in fondo ai miei piedi, ma poi qualcosa cambiò. Era
una settimana che lo vedevo strano, sembrava lontano con i pensieri, anche
quando facevamo qualcosa insieme sembrava che pensasse ad altro, e poi spesso
guardava verso la foresta e la sera invece di dormire dove lo aveva sempre
fatto rimaneva fuori dalla porta come se dovesse proteggermi da qualcosa,
questa perlomeno era l’idea che mi ero fatto, ma sbagliavo e me ne accorsi una
mattina che alzandomi non lo trovai, lo chiamai e lo cercai per molto tempo ma
di Diablo sembrava non esserci più traccia. Non capivo cosa poteva essere
successo o facevo finta di non capire, perché forse non volevo ammettere che
potesse essere scappato via, dalla fattoria, da me. Mi avvicinai anche ai bordi
della foresta ma non ebbi il coraggio di inoltrarmi dentro, era una decina di
giorni che la notte sentivo ululare e quello era un buon motivo per non azzardare
un’escursione là dentro. Dopo qualche giorno, pur a malincuore, accettai il
fatto che non tornasse più e cercai di riorganizzare la mia vita senza di lui,
fatto volle che fosse appena nata una capretta e decisi di dedicarmi alla sua
crescita, perciò cominciare a passare il mio tempo libero con Betta, questo fu
il nome che scelsi per lei, certo non era come avere un cane o un lupo, ma
anche lei a suo modo mi faceva stare bene. Durante le mie passeggiate era lei
che mi accompagnava saltellando in maniera buffa, era lei che stava con me
quando portavo il gregge a pascolare, era lei che mi seguiva ovunque andassi,
era anche lei però che non sempre mi dava retta, era lei che molte volte si
metteva nei guai e ma non toccava a me andarla a salvare e anche quel giorno fu
così; eravamo insieme sulla montagna a far pascolare le pecore vicino alla
foresta ma non troppo, ma a differenza delle altre volte cominciò a zampettare
verso di essa, la chiamai ma lei continuò la sua assurda corsa, le andai dietro
e la raggiunsi in prossimità dell’entrata. Stavo per leticarla e riportarla
indietro quando la presenza di due bellissimi e adulti maschi di lupo mi fecero
sobbalzare, eravamo troppo vicino a loro e molto lontani da un sicuro rifugio,
lentamente ma con i denti digrignati, si stavano avvicinando a noi pronti per
il balzo d’attacco e se lo avessero fatto per noi sarebbe stata la fine, pregai
e forse fu la prima volta che lo feci, pregai con la convinzione che era
l’ultima cosa che avrei fatto nella mia vita, pregai chiudendo gli occhi
aspettando il morso mortale, sentii un potente ringhio e mi strinsi con me
stesso come se quel gesto potesse farmi sentire meno male, ma non successe nulla,
sentivo rumori di colluttazione e ringhi più o meno forti, pensai che avessero
attaccato per prima Betta e aprii istintivamente gli occhi, e vidi i lupi di
prima che stavano combattendo con un terzo, la capretta nel frattempo era
scappata ed io rimasi immobile a osservare la lotta. Improvvisamente i primi
due lupi fuggirono all’interno della foresta seguiti dallo sguardo attento del
terzo lupo e quando scomparvero dalla vista si girò verso di me avvicinandosi
lentamente e in maniera guardinga, e a quel punto lo riconobbi era il mio
Diablo, lo chiamai istintivamente e altrettanto istintivamente allungai la mano
verso di lui, che ormai a pochi centimetri da me cominciò a leccarmela, lo
grattai sulla testa come avevo sempre fatto da quando lo trovai piccolo e
abbandonato nella foresta, e furono alcuni minuti d’intensa emozione per entrambi,
poi Diablo fece un passo indietro, mi guardò fisso negli occhi, fece un ululato
in direzione del cielo e con un passo lento si diresse verso la sua vita. Quella
fu veramente l’ultima volta che lo vidi, ma contribuì a lasciare un ricordo
indelebile nel mio cuore.
Michele
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