- Zia Carlotta, chi è questo ragazzo? - chiese Rosetta,
mostrando ammaliata una foto in bianco e nero, adornata da una piccola cornice di
legno marrone, trovata in un cassetto del settimino.
Carlotta girò lentamente la testa in direzione della nipote,
guardò la foto e sospirando cominciò dolcemente a dondolarsi sulla vecchia e
bianca sedia a dondolo, situata nel mezzo del salotto.
- Sai chi mi sembrava? Il giardiniere, quel signore che
ogni tanto viene a curarti il giardino, è lui?
- domandò Rosetta.
Non ottenendo risposta, anche le altre due nipoti Tania e
Carolina, richiesero insistentemente chi era quel ragazzo ritratto in foto,
allora la zia cominciò a raccontare. Carlotta era un'anziana signora con i
capelli ormai bianchi, raccolti dietro la nuca nella pettinatura a cipolla e
tenuti fermi da un fermaglio nero; teneva sulle spalle uno scialle lavorato a
mano da egli stessa e fissava la foto, che si era fatta dare dalla nipote, con
occhiali piccoli e minuti che passavano inosservati nella sua rubiconda faccia,
le mani che la stringevano, ormai segnate dall’avanzare delle tante stagioni
vissute, cominciarono a tremare.
- Lui è stato la persona più importante della mia vita. -
- Ma come zia, è stato la persona più importante - chiese
Carolina, la maggiore delle nipoti -e tu non ce ne hai mai parlato? -
Carlotta aveva un particolare rapporto con le nipoti,
aveva passato molto tempo con loro, le aveva allevate, educate ed aveva sempre
avuto con loro un rapporto confidenziale, lei sapeva tutto di loro, le prime cotte,
i primi amori, le gioie e i dispiaceri, ed anche loro sapevano tutto di lei,
Carlotta non si era mai sposata e riversava sulle nipoti tutto il suo amore.
- Non vi ho mai parlato di lui, perché rappresenta un
dolce e amaro segreto, un qualcosa che è stato sempre in me, che mi ha
accompagnato in tutta la mia vita, ma dal momento che avete fatto la sua
conoscenza, voglio raccontarvi la storia che mi farà ripercorrere momenti più e
meno belli della mia vita. -
Le ragazze si sistemarono a sedere sul tappeto davanti
alla zia, che continuava a dondolarsi piacevolmente.
- Lo conobbi che ero piccola, quattro o cinque anni, lui
ne aveva due più di me quando venne ad abitare nella casa accanto alla mia,
facemmo conoscenza, per caso, qualche giorno dopo il suo arrivo; io ero fuori
con la mia bicicletta e giravo nei sentieri intorno a casa, quando un aquilone
precipitò di fronte a me, tentai di schivarlo e frenai ma inutilmente, nel
tentativo, tra l’altro maldestro, di evitarlo, lo presi in pieno e cascai
sull’asfalto del sentiero, distruggendo pure quell’aquilone impazzito,
cominciai a piangere non appena vidi sulle mie gracili ginocchia del sangue che
si mescolava con lo sporco raccolto dalla terra, accorsero in molti, attratti
dal mio pianto, anche i miei genitori che raccolsero me e la bicicletta e ci
portarono a casa, vidi anche un bambino, che tristemente raccoglieva quello che
rimaneva di un qualcosa che prima si chiamava aquilone, quello che mi colpì in
lui, era il modo in cui lo faceva, dolcemente e delicatamente, come se fosse la
cosa a lui più cara senza togliere lo sguardo sognatore da esso, uno
scapaccione di suo padre lo fece ritornare alla realtà e mentre subiva i
rimproveri del genitore mi guardò con occhi pieni di rabbia, che provocarono in
me un senso di disagio, a tal punto che smisi di piangere, anche se le
ginocchia ferite continuavano a perdere sangue.
I giorni dopo passarono senza che io trovassi il coraggio
di rivolgere parola e scusa, a quel bambino dai capelli riccioli e neri, che
vedevo giocare nel giardino accanto al mio, poi qualche settimana dopo, mentre
ero in veranda a giocare con bambole e ciottoli, lui si fermò con la sua
bicicletta davanti al cancello di casa mia, mi fissava senza dirmi niente ed io
abbassai velocemente lo sguardo, mi chiese se mi dolevamo ancora le ginocchia
ed io guardandole risposi di no con un cenno della testa, mi chiese scusa e mi
invitò ad andare con lui a fare una passeggiata insieme con le biciclette,
ringraziai alzando la testa e guardandolo, ma dissi che mamma non mi permetteva
di andare lontano senza di lei, lui allora scese dalla sua, la appoggiò allo
steccato e venne a sedersi accanto a me, fu così che cominciò la nostra
amicizia. -
- Zia aspetta a continuare il racconto, metto a fuoco il
tè! - disse la piccola sedicenne Tania.
- Da quel momento - proseguì zia Carlotta sorseggiando la
fumante tazza - diventammo inseparabili, non c’era giorno che non lo passavamo
insieme, iniziammo a crescere e crescendo cominciammo a conoscere il mondo e
noi stessi, tutto quello che scoprivamo era la base di vivaci discussioni dove
ognuno di noi esprimeva il suo giudizio sull’accaduto, man mano che crescevamo
scoprivamo, attraverso gli studi, cose a noi nuove ed erano altri motivi per
lunghe chiacchierate in riva al fiume, era un rapporto bellissimo composto da
sentimenti ed affinità mentali, ricordo che facevamo un gioco che a noi piaceva
un sacco; il villaggio della fantasia, così lo chiamavamo, uno diceva un
personaggio storico e l’altro doveva creare con la fantasia un altro
personaggio che fosse amico o nemico di quello chiamato in questione e doveva
farlo con validi argomenti che si attenessero alla vita, ai pregi ed ai difetti
del personaggio famoso, chi non riusciva a rendere l’idea, doveva preparare una
torta all’altro. Ero diventata bravissima a fare torte, perdevo spesso, non ero
molto brava a lavorare di fantasia, mentre lui era incantevole quando
cominciava a creare il personaggio, rimanevo ammaliata, con la bocca aperta,
erano storie, favole, che sembravano uscire dalle pagine di un libro.
Passavamo molto tempo insieme, studiavamo insieme, anche
se lui frequentava due classi avanti a me, è stato un prezioso aiuto, sono
riuscita a studiare e capire cose, ragionando e pensando in due modi diversi,
uno per l’età che avevo io ed uno per l’età che aveva lui e vi posso assicurare
che se anche erano due anni soli di differenza, in realtà quel tempo che ci
differenziava era molto.
Nel frattempo stavamo diventando grandi e cominciammo ad
avere anche altri amici, che non impedivano i nostri solitari incontri in riva
al fiume, ma comunque c’erano, cominciammo a scoprire l’amore ed il sesso, lo
scoprimmo insieme; eravamo fuggiti ad un temporale che ci aveva sorpreso al
fiume e ci rifugiammo in un vecchio cascinale abbandonato, ridevamo e
scherzavamo, ma ben presto i vestiti bagnati ed il freddo che si stava
impadronendo di noi, ci tolsero il sorriso dalle labbra e cominciammo a
tremare, proposi di toglierci i vestiti e di abbracciarci per scaldarci a
vicenda, lo facemmo rimanendo entrambi con gli slip, all’inizio provavamo
vergogna l’uno dell’altro, ma ben presto il bisogno di calore fece scomparire
quella sensazione, ci abbracciammo sorridendo e con il rossore sulle guance e
ci sdraiammo sopra ad una coperta vecchia e polverosa.
Dopo qualche minuto avvertii una sensazione strana, quel
corpo caldo che mi abbracciava, mi stava facendo provare un qualcosa a me
sconosciuto fino a quel momento, i nostri sguardi si incontrarono e facevano
fatica a staccarsi, appoggiai le labbra sopra le sue e cominciammo a baciarci,
era bellissimo, ricordo ancora quelle labbra appena umide ma vogliose di
scoprire. Il freddo stava scomparendo, avevamo cominciato ad accarezzarci
dolcemente e delicatamente, mi fece ricordare la prima volta che lo vidi quando
raccoglieva l’aquilone, ma la sensazione quando lui mi fissò adagiando il suo
corpo nudo sopra il mio, fu diverso dalla volta dell’aquilone e delle ginocchia
ferite, non c’era più la rabbia nei suoi occhi e nei miei non c’era più paura,
in entrambi c’era piacere ed amore.
Scoprimmo l’orgasmo, il piacere finale, come lo
chiamavano i compagni di classe, ma ci sembrò più bello del loro, di come lo
avevano raccontato, non provammo il dolore che loro ci avevano descritto o
perlomeno era rimasto in secondo piano, ininfluente alle sensazioni di piacere
che avevamo provato e continuavamo a provare ognuno nelle braccia dell’altro,
rimanemmo abbracciati ancora a lungo fissando il vecchio soffitto io e
lisciando i miei capelli lunghi lui, solo dopo molto tempo ci accorgemmo che
nel frattempo era smesso di piovere, era calata la sera, dispiaciuti di dover
lasciare quel posto meraviglioso e quella situazione indimenticabile ci
vestimmo e corremmo mano nella mano verso le nostre case, dove all’arrivo
trovammo i nostri genitori fuori ad aspettarci, preoccupati ed impauriti,
avevamo superato l’ora della cena, non era mai successo, ma entrambi eravamo
sazi di piacere che non mangiammo, io studiai qualche pagina di storia per poi
andare a letto a riflettere ed a gustarmi quella nuova sensazione scoperta nel
pomeriggio.
Continuammo ad essere amici, ma non facemmo più l’amore e
nemmeno ci baciammo, non volevamo rovinare quel ricordo, ne parlammo moltissimo
ma entrambi arrivammo alla conclusione che era meglio tenere quel ricordo
bellissimo e non rischiare di rovinarlo, era un dolce e segreto ricordo e
doveva rimanere tale; di certo fu che quel pomeriggio nel cascinale ci fece
maturare e maturò anche il nostro rapporto di amicizia, ora ci conoscevamo
completamente, io ero lui e lui era me, bastava un solo sguardo per capire e
comprendere, ridere e scherzare, spronare o rimproverare. Eravamo sempre
insieme anche se non lo eravamo, lo spirito dell’altro era accanto al proprio,
anche se frequentavamo amicizie diverse non mancavano i nostri solitari
incontri in riva al fiume, dove ci raccontavamo le nostre rispettive storie e
tutto quello che era confidenziale e tabù per gli altri, ci consolavamo ed
incoraggiavamo a vicenda.
Ma una volta in questi nostri incontri rimasi zitta a
lungo, dovevo dirgli una cosa ma non avevo il coraggio, ma era impossibile riuscire
a nascondere una cosa a lui, riusciva sempre a farmi dire tutto e piangendo li
comunicai che la settimana dopo avrei traslocato, con tutta la famiglia per
motivi di lavoro di mio padre, molto lontano e che forse sarebbe stato
difficile rivedersi; il silenzio piombò sul fiume, poi mi abbracciò e le nostre
lacrime si mescolarono e rimanemmo a lungo avvolti nel silenzio.
Il giorno della partenza arrivò velocemente, tutti quei
bagagli nel sentiero di asfalto, dove avevo fatto la sua conoscenza, mi
disturbavano, lo cercai inutilmente con lo sguardo, sapevo che lui non ci
sarebbe stato, me lo aveva detto la sera prima, quando eravamo seduti sul greto
del fiume, a guardare per l’ultima volta insieme, la mezza luna che risaltava
nel cielo notturno, aveva detto che non sarebbe venuto a salutarmi, le partenze
non li piacevano e la mia la odiava proprio. Ma mentre salutavo i suoi
genitori, alzai lo sguardo verso la finestra della sua camera e lo vidi dietro
le piccole tende lavorate a mano, vidi la sua faccia triste ed un raggio di
sole mi mostrò su quel viso il tragitto di una lacrima, li lanciai un bacio e
salii sopra ad un calesse che ci portò fino alla stazione.
Nella nuova città non riuscii subito ad inserirmi, anzi
trovai molte difficoltà, mi mancava lui, la sua amicizia, i nostri incontri al
fiume; le uniche soddisfazioni erano lo studio e l’arrivo del postino che
portava le sue lettere, le leggevo come fossero qualcosa di sacro, sentivo la
sua presenza accanto a me, sentivo il suo odore, mi addormentavo sentendo le
sue braccia che mi stringevano, trascorrevo le settimane aspettando ansiosa la
risposta alla mia lettera e quando giungeva, dimenticavo le paure ed i
dispiaceri della città e mi addentravo per mezzo delle sue parole e delle sue
storie, nel piccolo paese della mia infanzia. Seppi che sarebbe partito per il
servizio militare e che i nostri rapporti letterali si sarebbero affievoliti,
ma io continuai a scrivere tenendo un diario, pensando che se un giorno lo
avessi rivisto glielo avrei regalato. L’anno del militare anche se lentamente
passò e ricominciammo a scriverci regolarmente, ma nel frattempo qualcosa era
cambiato, io ero riuscita ad inserirmi nella nuova città, avevo fatto amicizie,
praticavo un corso di canto ed una cosa che mi sarebbe stato difficile dirli,
mi ero fidanzata con un ragazzo di cinque anni più grande; lui sembrava sempre
uguale, ma non sentivo più nelle sue parole, quel qualcosa che lo rendeva meraviglioso,
sembrava che l’esperienza del militare lo avesse privato di qualcosa, sentivo
che c’era qualcosa di strano, ma non riuscivo a capire cosa era, glielo chiesi
ma inutilmente, rispondeva che era sempre tutto come prima, che non era
cambiato niente.
Una volta mi scrisse che aveva dovuto smettere di
studiare per andare a lavorare, perché il padre aveva avuto un gravissimo
incidente, che lo aveva costretto a stare a letto ed in quelle parole
continuavo a notare che qualcosa non andava, anche lui mi disse che si era
fidanzato con una ragazza del posto e che era felice di averla trovata, ma io
continuavo a sentirlo strano.
Le lettere cominciarono ad essere sempre meno frequenti,
ci stavamo separando lentamente, fin quando io smisi di scriverli, ero stata
presa da tutte le cose che una grande città può offrire, studi sempre più
difficili, partecipavo a molte feste con gli amici, praticavo alcuni corsi e la
cosa andò avanti per alcuni mesi; tutto ad un tratto il ricordo di lui
ridiventò presente ed insostenibile, e lo scoprii mentre stavo per fare l’amore
con il mio fidanzato, non lo avevo più fatto da quella volta nel cascinale e
quando lui, dopo esserci baciati a lungo, si adagiò sopra di me, il ricordo
diventò grandissimo, mi rivestii e scappai da quella casa e cercai il fiume, ma
il fiume, il nostro fiume non c’era; avevo bisogno di vederlo, di parlarci, di
baciarlo, avevo voglia di fare l’amore con lui, avevo capito che lo amavo.
Andai a casa e ne parlai con i miei genitori, loro, anche se non entusiasti,
dissero che potevo andare, il viaggio costava molto, ma loro mi avrebbero dato
volentieri i soldi. Preparai in tutta fretta un piccolo bagaglio ed
accompagnata da loro fino alla stazione partii, durante il viaggio pensai a
quando mamma non mi faceva andare lontana con la bicicletta ed ora mi
permetteva di attraversare tutta la nazione in treno da sola, pensavo anche a
lui, a quando lo avrei rivisto, a cosa li avrei detto, a cosa avremmo fatto
insieme; dopo due giorni e due notti arrivai alla stazione del paese, non mi
sembrava vero rivedere quelle piccole case, odorare quei profumi tipici della
campagna, tipici della mia infanzia. Mi avviai a piedi gustandomi tutti i
particolari del piccolo paese, avvicinandomi alla mia vecchia casa sentivo il
cuore battere velocemente, ma pian piano che intravedevo quei posti ormai
fissati nella mia memoria, una sensazione sgradevole percorse il mio corpo, mi
accorsi che la casa accanto alla mia portava i segni di lutto, pensai subito
alla morte del padre malato e corsi per stare accanto a lui in questo momento
di dolore, ma quando bussai alla porta e sua madre venne ad aprire, capii
tutto; mi buttò le braccia al collo e cominciò a piangere, piansi anch’io e
gridando chiesi come era successo, ma non ottenni risposta. Solo durante la
serata, seduta nel salotto silenzioso, seppi come erano andate le cose, stava
lavorando, stava riparando un vecchio mulino, quando improvvisamente cedette il
soffitto e rimase schiacciato sotto le macerie; prima di andare a dormire sua
madre mi diede il suo diario segreto, mi addormentai tenendolo stretto al
petto, aspettai il giorno dopo, quando seduta sulla sua tomba, lo lessi insieme
a lui, mi amava, mi aveva sempre amato fin da quando si sedette accanto a me
sulla veranda, non aveva mai trovato il coraggio di dirmelo, non era vero che
era fidanzato, lo aveva inventato come le storie che inventava per i
personaggi, aveva smesso di scrivermi per cercare di dimenticarmi, ma non c’era
riuscito, anzi aveva accettato quel lavoro pericoloso perché era ben retribuito
e con i soldi che avrebbe guadagnato, sarebbe venuto a prendermi per riportarmi
al vecchio e piccolo paese, ma non ne aveva avuto il tempo, quel soffitto aveva
impedito l’inizio della nostra storia d’amore e soprattutto aveva spezzato la
vita di quel giovane sognatore. Piansi a lungo sull’ultima pagina scritta del
diario. -
Carlotta pulendo con la manica della camicia il vetro
della foto, smise di dondolarsi con la sedia.
- Scusate - disse qualche
minuto dopo - preferirei rimanere sola. -
- Si zia, hai ragione ce ne
andiamo. - rispose Carolina.
- Mi spiace tanto. - aggiunse
Tania.
Le accompagnò fino in
giardino, le osservò andare via salutandole con un gesto della mano.
L’uomo che stava potando i
rami più lunghi della siepe, si voltò verso di lei e raccogliendo un fiore, si
avvicinò.
- Hai giocato con loro al
villaggio della fantasia?- chiese.
Carlotta annuì con un cenno
della testa.
- Quando racconterai loro la
verità? - domandò l’uomo.
- Chissà, un giorno o l’altro
lo farò.- replicò Carlotta guardandolo negli occhi.
L’uomo le donò il fiore e poi
in modo dolce e delicato le diede un bacio sulla fronte.
Bella 'sta storia... uno strano amore il loro, strano ma saldo, inattaccabile. ..
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