La notte trovò Victorino
seduto insieme alla tribù dei LippoLappi, mentre con il battito delle mani
ritmava quella musica che era ballata, intorno ad un fuoco, da una decina di
piccole persone. Mentre mangiavano bacche e frutti selvaggi e bevevano acqua ed
una bevanda ricavata dalla lavorazione di alcune erbe, Victorino spiegò a Chupa
come era riuscito a superare la strada dimenticata dal sole, così era chiamato
quell’arcano labirinto vegetale.
La mattina, dopo una
tonificante ed esauriente dormita, Victorino venne accompagnato in una
indimenticabile passeggiata da Chupa ed altri tre LippoLappi. Durante la loro
camminata incontrarono animali e piante che Victorino non aveva mai visto e
neanche sentito parlare; rimase molto affascinato e mentre osservava, pensava
alla faccia degli abitanti di Tarabaral quando gli avrebbe riferito delle sue scoperte.
Incontrarono la buzzotta che
riposava sotto un grande baobab, con il pelo marrone che ricopriva interamente
il suo corpo tranne che le zampe e la pancia. La buzzotta, in conseguenza alle
grandi abbuffate di frutta, erbe, piccoli animaletti e tutti i tipi di insetti,
era grossissima, la pelle era talmente tirata che sembrava dover scoppiare da
un momento all’altro; i suoi lunghissimi arti superiori, sproporzionati al
resto del corpo, li servono per procurarsi il cibo, infatti spiegava Chupa che
quell’animale viveva per circa un mese sempre sdraiato sulla schiena e mangiava
quello che riusciva a prendere con quelle sue lunghissime zampe, poi
improvvisamente spariva, forse per accoppiarsi, e quindi ritornava a vivere per
lo stesso periodo in un posto qualsiasi; e questa era la vita della buzzotta
fino alla morte.
Continuando a camminare
arrivarono sulle sponde di un lago, dove Victorino venne attratto da una folta
distesa bianca di piume in mezzo ad esso. Chupa spiegò che quegli erano gli
acquerotti con il lungo becco a punta, con il quale infilzano la preda, che può
essere pesce o rana, ed avevano delle caratteristiche singolari : non uscivano
mai dall’acqua tranne che per fare i propri bisogni, il colore delle loro piume
cambiava dal bianco all’avorio quando scendevano le prime ombre della sera e
contemporaneamente emettevano un grido stridulo, e quello era l’unico momento
in cui si poteva udire la propria voce.
Un puzzo insistente perforò
le narici di Victorino, si guardò intorno, ma non vide nulla di strano, solo un
animale simile alla papera, ma con un busto molto pronunciato, con grosse zampe
e becco color arancione ed un corpo dalle piume avorio e soffice. Victorino
chiese a Chupa cosa era quell’odore strano, il quale gli indicò quello strano
animale chiamato squaquerotta, molto ricercata dalla tribù per costruire con le
sue soffici piume accoglienti giacigli e per queste proprietà era un animale
solitario, lei fuggiva dagli uomini per non essere catturata, e gli altri
animali fuggivano da lei per colpa di quel puzzo che emanava, che altro non era
che la sua caratteristica di fare i propri bisogni mentre camminava, ma non lo
faceva solo quando aveva la necessità, ma come camminava lasciava un
inconfondibile e puzzolente traccia.
Victorino continuava ad essere
affascinato da quel mondo sconosciuto e fantastico, sorrideva al pensiero di
come gli abitanti lo avrebbero osannato e riverito dopo il suo racconto di
quello che stava vivendo ed osservando.
Venne risvegliato dai propri
pensieri da una dolce musica proveniente da dietro un cespuglio di fiori, pensò
che ci fossero dei LippoLappi ed andò a vedere, ma come si trovò al di là dei
fiori, la musica la sentiva alle proprie spalle, tornò da dove era venuto e
trovò Chupa ed i LippoLappi che sorridevano; chiese il perché e loro gli
indicarono i fiori, Victorino si voltò a guardarli, e pian piano osservandoli
notò che quell’insieme di fiori gialli, rossi e blu, stavano danzando in
armonia alla musica che loro stessi producevano, Victorino quasi incredulo
rimase alcuni minuti ad osservarli ed ascoltarli, Chupa si avvicinò a lui, e
sommessamente, per non disturbare l’evento, gli disse all’orecchio che si
trattava dei fior di Tersicore, in onore alla musa della danza.
Ancora incredulo per quello
che aveva visto, Victorino accompagnato da Chupa e dai LippoLappi, si incamminò
verso l’accampamento, era giunta l’ora del pranzo, camminando ed osservando
tutte quelle meraviglie della natura a lui ignote si era totalmente dimenticato
del tempo, ma il suo stomaco lo fece riprendere da quell’estasi, stava
ferocemente brontolando e doveva mangiare qualcosa per placarlo.
Mentre si avvicinavano al
villaggio Victorino era immerso nei suoi pensieri, mentre i LippoLappiani
raccoglievano alcune erbe che avrebbero fatto parte del pranzo seguente,
improvvisamente un rumore continuo attirò la sua attenzione, Chupa fece cenno a
Victorino di fermarsi, poco lontano da loro stava passando un cagnaro, così lo
chiamò il capo villaggio, animale molto simile al lupo; muso lungo ed
affusolato, schiena arcuata verso il basso, manto striato e peloso con strisce
di pelo nero alternate a strisce di pelle con assenza del pelo stesso. Il
rumore provocato in continuo dal cagnaro, è dovuto ad una malformazione
congenita della mandibola inferiore, che l’impedisce di chiudere completamente
la bocca per evitare che i denti canini superiori penetrino nel labbro
inferiore, perciò la loro bocca rimane sempre aperta emettendo questo strano
verso, detto cagnio, ma tutto ciò non impedisce lo svolgimento regolare della
propria esistenza, infatti pur continuando a cagniare, riescono lo stesso a
dormire e mangiare normalmente.
Chupa notò che il cagnaro era
in assetto di caccia, e quindi dopo aver osservato intorno a lui fece notare a
Victorino la presenza di un animale a lui ignoto, questo era talmente piccolo e
strano che non si riusciva a capire dove avesse la testa e dove la coda. Seppe
da Chupa che era il cibo prelibato del cagnaro e che la vita di quel piccolo
animale dal pelo soffice e nero chiamato pellicciaro era molto breve, ma avendo
una vita sessuale intensissima, circa tre/quarti della loro giornata,
riuscivano a sopperire al fatto di essere un prelibato cibo, con una
riproduzione continua. Victorino ebbe appena il tempo di analizzare la
situazione, che la teoria divenne pratica, il cagnaro assalì velocemente il
pellicciaro e saziò momentaneamente la sua fame.
Arrivarono poco dopo al
villaggio, la tribù dei LippoLappi era in attesa di loro, tutti seduti in
cerchio in tanti piccoli gruppi, l’aria era freschissima e pulita, il sole
altissimo, l’atmosfera era gioiosa. Il pranzo fu ottimo e Victorino pur non
avendo mangiato soltanto erbe, quell’accozzaglia di bacche mai viste e frutti
selvaggi mai assaggiati, provocò in lui una sensazione di piacere mai provata nella
sua giovane vita. Si gustò quel momento in maniera molto avida, continuando a
pensare alla faccia che avrebbero fatto i suoi amici al racconto di quei due
giorni indimenticabili.
Chupa dopo aver mangiato,
accese una lunghissima pipa e dopo aver fatto alcune boccate gliela offrì,
Victorino accettò volentieri e chiese al capo villaggio cosa era che li rendeva
così felici.
Chupa lo guardò negli occhi e
disse che la loro felicità era dovuta al fatto che i forestieri non conoscevano
il loro mondo e per fortuna non erano riusciti, tranne lui, a trovare la strada
per arrivare a conoscere quel mondo fantastico. L’arrivo del mondo estraneo
avrebbe significato la fine del loro villaggio e la conclusione di quel
paradiso terrestre. Victorino a quelle parole si guardò intorno, osservando
quei piccoli uomini e quelle donne minute, notò alcuni bambini giocare
divertiti con dei piccoli animali, chiamati pillotteri, simili allo scoiattolo
con il muso che ricorda vagamente il topo ed il corpo ricoperto da pelo rosso
tranne la testa ed una striscia sul davanti che sono bianche e rimase
impressionato dal fatto che, quegli stessi animaletti, con le loro piccole
zampe giocavano, toccavano, ritoccavano, rigiravano e giravano tutto ciò che
trovavano.
Chiunque di loro guardasse, vedeva
la felicità e la serenità stampata sul viso, anche l’atmosfera che lo
circondava era carica di queste emozioni, vide la semplicità della vita, notò
l’amore per le piccole cose, imparò l’importanza della natura e capì che tutto
quello era il potere magico dei LippoLappi.
Decise di partire e salutò
uno ad uno tutti gli abitanti del villaggio, salutò per ultimo Chupa con il
quale aveva vissuto ore indimenticabili, l’abbraccio risultò molto intenso e
quando voltò le spalle a quel mondo, a Victorino uscì una lacrima, si asciugò
con la manica della camicia e cominciò a percorrere la strada dimenticata dal
sole, impiegò alcune ore a ritrovare la via del suo villaggio, e mentre la
penombra stava facendo il suo ingresso nella giornata, udì in lontananza il grido
dell’acquerotto. Voleva arrivare il prima possibile, per raccontare tutto
quello che aveva vissuto, cominciò a correre, ma non riusciva più a trovare
l’uscita; ci riuscì solo a notte fonda, quando cominciava a temere di non poter
più uscire da quel labirinto vegetale. Andò direttamente a letto rimandando il
racconto alla mattina seguente, decise che sarebbe andato a fare colazione
all’osteria “El Cocorito” ed allora avrebbe ottenuto, raccontando la sua
esperienza, il rispetto degli altri.
E così accadde, la mattina
dopo essersi svegliato e lavato, si vestì e con passo fiero si avviò verso il
ritrovo degli abitanti di Tarabaral, che non appena lo videro cominciarono a
prenderlo in giro asserendo che si era perso per due giorni nel labirinto, le
risate e le derisioni si moltiplicarono nel giro di pochi minuti. Victorino
avvicinandosi a loro pensò a quello che sarebbe successo ai LippoLappi se
quelle persone avessero saputo la verità, pensò a quei volti sorridenti in
quella fantastica atmosfera, pensò a quegli sconosciuti animali ed a quella
meravigliosa vegetazione, pensò all’intenso abbraccio con Chupa e quando l’oste
del “El Cocorito” gli chiese dove era stato gli ultimi due giorni, Victorino si
accese un sigaro Harriba e rispose che si era perso nella foresta. Le risate
assalirono prepotentemente l’atmosfera mentre Victorino, additato e deriso alle
spalle, ritornava lentamente verso la staccionata che doveva essere finita di
colorare.
Un sorriso nacque sulla sua
faccia felice e spensierata.
Michele
Bravo!! Il racconto ti tira dentro perché vuoi andare a vedere come finisce e la conclusione è sorprendente e intelligente!! Un piccolo brivido! Complimenti
RispondiEliminaDaniele
Victorino, ovvero della profonda ed innata bontà dei semplici...
RispondiEliminaMi è piaciuto, leggero di leggerezza calviniana.
Solo un appunto, se mi consentite: un correttore di bozze non vi farebbe male... :-)
Victorino è un bel racconto.
RispondiEliminaE la correzione delle bozze la farà chi di dovere quando andrà in stampa!! :P
Renato
Cara Fernanda,
RispondiEliminainnanzitutto grazie di cuore per esserci.
Credo che in questo blog nessuno di noi abbia voglia di fare il correttore o il censore degli altri.
Come dire, o prendere o lasciare... o chiudere un occhio.
Continua a mandarci i tuoi bei commenti!!!
Daniele
Cara Fernanda,
RispondiEliminainnanzitutto grazie di cuore per esserci.
Credo che in questo blog nessuno di noi abbia voglia di fare il correttore o il censore degli altri.
Come dire, o prendere o lasciare... o chiudere un occhio.
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Daniele