martedì 18 dicembre 2012

UNA LETTERA MAI SPEDITA



Cara mamma, oggi è un giorno molto particolare per tutti noi, ed è per questo che ho scelto di scriverti. Non sono sicura di spedirti questa lettera, perciò non so se saprai mai quello che volevo dirti in un giorno come questo, ma le circostanze che sono accadute ultimamente, mi hanno spinta a parlare con qualcuno e l’unica con cui potevo confidarmi senza vergogna eri tu, anche se rappresentata da questo foglio bianco.
Per tutta la famiglia è un giorno molto triste, tuo marito è morto, stroncato in una età ancora giovane da un male micidiale che prende e ti abbandona solo alla morte, ma io non riesco ad essere dispiaciuta della cosa, anzi credo che una forma di felicità si sia svegliata in me quando ho saputo la notizia, la telefonata è giunta stamattina in un momento molto ansioso per me, non avevo dormito la notte, o per meglio dire non avevo dormito bene, cosa che mi capita ormai molto spesso da molti anni, ho alzato il ricevitore sperando di avere una buona conversazione con qualcuno od una buona notizia, per tirare su il mio morale che era veramente a terra. Eri tu, che piangendo mi hai dato la notizia che tuo marito era morto soffrendo, in quel momento credo di aver provato la massima felicità che mai ho avuto nella mia pur breve vita, e non credo di essere una squilibrata od una incosciente per aver provato questa, per te, insensata gioia; ho sbattuto molte volte le palpebre per essere sicura di non sognare, e quando mi sono resa conto che ero desta, ho sentito il cuore che batteva velocemente ed ho avuto paura che scoppiasse. Non immagini nemmeno quante volte ho desiderato che capitasse quello che tu mi hai comunicato piangendo, quante volte ho sperato che accadesse, quante volte ho pensato di farlo io, ma non ho mai trovato le forze ed il coraggio di effettuarlo. Mi dicevo che prima o poi sarebbe accaduto da solo, che non c’era bisogno di accelerare con un gesto insano questo avvenimento ed ho fatto bene perché quell’uomo che domina dall’alto, ha fatto una piccola giustizia in un mondo colmo di grandi ingiustizie.
Credo che questa conversazione non sarebbe mai avvenuta, se tuo marito non fosse stato chiamato in un posto a lui più consono, che spero vivamente sia l’inferno, dove tutti quelli che sono laggiù, li facciano provare a lui tutto il male che ha provocato nella sua vita.
A questo punto della lettera, tu crederai di avere una figlia psicopatica impazzita sotto i colpi della televisione e delle schifezze che mangio, come del resto hai sempre sostenuto, ma io voglio dirti e dimostrarti quanto sia stato giusto che tuo marito morisse soffrendo; credo che non ti faccia piacere saperlo, ma penso che sia giunto il momento che tu ne venga a conoscenza.
Tutto è incominciato, quando tu, per colpa di quel vagabondo ed incosciente di tuo marito, doveste andare a lavoro a servizio di quella famiglia in via del Pino, te lo ricordi ? Io avevo pochi anni, cinque per l’esattezza, e rimanevo in casa con colui che da li a poco tempo avrei odiato più di ogni cosa nella mia vita. Non so se dare la colpa a me stessa per non aver mai avuto il coraggio di dirtelo, oppure a te per non essere riuscita a capire i miei pianti, le mie lacrime sparse sulla tua gonna quando uscivi per andare a lavoro e mi lasciavi sola con quell’uomo. In un primo tempo l’uomo che chiamavo babbo, era dolce e carino, passava molto tempo a giocare insieme a me, poi con il passare del tempo e con la nostra solitudine, la sua dolcezza si è trasformata lentamente in un attaccamento morboso nei miei confronti, mi copriva di baci, di piccoli regalini e di molte carezze; io nell’ingenuità della mia piccola età, accettavo molto volentieri quelle effusioni di affetto che aumentavano con il passare dei giorni, li accettavo come dimostrazione di sentimenti, non immaginavo nemmeno lontanamente che avessero un altro scopo. Qual’era questo lo scoprii dopo un mese, quando l’uomo che chiamavi marito, mi sospirò ad un orecchio che anch’io dovevo accarezzarlo e baciarlo, sul momento non mi sembrò una richiesta strana, ma lui mi prese con forza la testa e l’abbassò, contro la mia voglia, fin quando mi disse che dovevo baciare quello schifosissimo pezzo di carne che aveva tra le gambe, allora capii che era finita la dolcezza ed iniziava qualcosa di brutto che non riuscivo a capire di cosa si trattasse data la mia piccola età, ma ero certa che si trattasse di qualcosa di veramente schifoso. Me lo fece baciare per molto tempo ed io piangendo glielo baciai, e quando lui fu soddisfatto scappai di corsa nella mia dolce cameretta, dopo qualche minuto lui venne da me e con modi dolci mi disse che non dovevo dirti nulla, perché tu ti sareste arrabbiata molto con me e che lui mi avrebbe protetto. Non giocammo più insieme con i miei giocattoli, l’unico giocattolo con il quale giocavamo tutti e due era quel coso che nascondeva nei pantaloni quando tu eri in casa ed esibiva con grande fierezza quando andavi a lavoro. Me lo fece baciare più di una volta e quelle volte che non volevo farlo mi forzava tenendomi premuta la testa contro quell’affare e torcendomi un braccio per non farmi alzare. La mia angoscia aumentava ogni giorno, speravo che tu ti accorgessi che qualcosa non andava, ma tu niente, continuavi a vivere come niente fosse, speravo che lui si stancasse di quel gioco per nulla divertente, ma era una speranza che cadeva nel vuoto, dato che lui aumentò il gioco costringendomi a farmi toccare nel posto da cui credevo che potesse uscire solamente la pipì, e più lui mi toccava e più io piangevo, più io piangevo e più lui si faceva baciare e leccare ed io mi ricordo le giornate in attesa del tuo arrivo chiusa nella mia cameretta con la paura che lui aprisse la porta e volesse giocare con me con quello che lui chiamava giocattolo, ma che a scuola avevo sentito chiamare cazzo. Questa storia andò avanti fino ai tredici anni, quando un pomeriggio sentii bussare alla porta della mia camerina ed entrò lui con un braccialetto, mi sentii mancare delle forze, pensando a quello che avrebbe voluto in cambio, ma non fu così, mi diede questo dono dicendomi che era un regalo perché ero stata brava con lui, mi dette un bacio sulla fronte ed uscì; non tornò più nella mia cameretta e piano piano riuscivo anche quasi a perdonare quell’uomo, a capirlo e comprenderlo.
Gli anni passavano, iniziai a frequentare una nuova scuola, il mio corpo lentamente assumeva le sembianze di donna e molto faticosamente mi stavo riprendendo da quella brutta storia avuta con tuo marito, quando improvvisamente ed inaspettatamente una mattina che non ero andata a scuola, perché mi ero sentita male, successe una cosa, che solamente la notizia che mi hai dato stamattina ha attutito un poco la sofferenza; ero in cucina che mi preparavo la colazione, quando con la coda dell’occhio vidi entrare lui nella stanza, non ero molto vestita, mi ero alzata dal letto in quel momento ed indossavo solamente la mia vestaglia carina ma un poco trasparente, ma ero uscita svestita solamente perché tu mi avevi detto che lui non ci sarebbe stato, che aveva trovato un lavoretto fuori città e si sarebbe alzato presto per andarci. Quando lo vidi entrare li chiesi come mai era in casa, ma lui mi rispose evasivamente e con uno sguardo che mi fece paura, perché mi ricordò gli sguardi che aveva quando voleva giocare con il suo giocattolo. Indietreggiai di un passo ma trovai l’ostacolo del tavolo, e nel momento in cui mi accorsi di quell’ostacolo lui mi era balzato addosso e nel breve tempo che ebbi per rendermi conto di quello che stava per succedere, mi ritrovai con le mutande strappate, con la vestaglia tirata sopra i miei giovani fianchi e con le gambe divaricate, e questo potrebbe essere niente in confronto al fatto che avevo quell’orribile uomo sopra di me che mi baciava e leccava un orecchio, con un respiro affannoso che ansimava, nel giro di poco, mentre cercavo con tutte le mie forze di liberarmi, quello stramaledetto uomo mi ha fatto provare un grande male sia fisico che mentale, dopo avermi inserito quello stramaledetto cazzo dentro di me, ha cominciato a muoversi sempre più velocemente, le mie lacrime cadevano alla stessa velocità dei suoi movimenti, le mie forze scomparirono del tutto e solamente quando sentii qualcosa di caldo che mi stava bagnando la pancia e la faccia ripresi conoscenza di quello che mi era accaduto e di quello che mi stava accadendo. Rimasi molto tempo sdraiata sopra quel tavolo, con le mani sopra la faccia a piangere ed a lamentarmi sommessamente, lui non so dove era, credo che fosse uscito di casa, ma in quel momento non volevo nemmeno saperlo, piangevo e mi disperavo, non volevo credere a quello che mi era successo. Questo martirio e sofferenza durò fino al compimento dei miei diciotto anni, quando con tuo dispiacere e con mia grande gioia decisi di andare all’università e di conseguenza andai ad abitare per conto mio; trovai la casa, trovai una facoltà che mi piaceva frequentare e nella quale ho conosciuto molte persone, ma non sono mai stata felice, sempre in compagnia di quei orribili ricordi nella mente.
Solo ora, dopo due anni di tormento e di infelicità, riesco a sorridere e caso strano della vita sono felice perché è morta una persona, anzi non voglio neanche definirla persona, direi una bestia o meglio peggio di una bestia, che l’unica soddisfazione che mi ha dato è stata quella di crepare meritatamente. Mi ha lasciato troppe cose negative, mi ha fatto odiare tutti gli uomini come tali, non perché credo che siano tutti così, perché il solo pensiero che tutti lo siano, mi farebbe passare la voglia di vivere,  e continua a farmi essere diffidente nei confronti di coloro che hanno quello stramaledetto coso tra le gambe. Lui mi ha annientato gli anni del divertimento, mi ha devastato la mente, mi ha tolto la gioia di vivere i miei anni giovanili, mi ha fatto diventare grande alla svelta, ma non mi ha dato tempo di diventare donna come mi aspettavo di fare, ha accelerato i tempi costringendomi a diventare femmina per i suoi interessi subdoli e schifosi, e fare quelle cose che dovrebbero essere belle fatte con amore e sentimento. e lui ha rovinato tutta la mia vita solamente per un gusto meschino ed una orribile libidine nei confronti di quella figlia che con amore, credo, aveva concepito con te. Mi ha fatto conoscere il sesso contro voglia e senza amore, ho dovuto prendere anticoncezionali per paura che mi nascesse un essere spregevole come quello che abusava di me a suo piacimento, mi ha fatto versare oceani di lacrime nel silenzio della mia camerina, mi ha fatto passare notti insonni a pensare a quella massa di carne sudaticcia che ansimava sopra di me, mi ha fatto allontanare da te che non sapevi nulla di tutto ciò, e che eri rimasta delusa dal mio allontanamento da casa. Non puoi immaginare cosa significa avere quelle schifose mani che ti toccano tutto il corpo, quella lingua viscida che ti lecca ogni parte, quel fiato che ti ansima sopra il viso e quell’uomo che è tuo padre che ti monta come solo il toro fa con la sua compagna.
Un individuo con livello di intelligenza zero, ecco chi era quell’individuo che dormiva accanto a te, un individuo senza sentimenti, un individuo che non amava con il cuore ma con quello stramaledetto coso, un individuo al quale spero che nessuno versi una lacrima in sua memoria, perché ne ha già fatte versare molte a me, durante la sua inutile vita.
Per tutto questo mamma, sono stata felice quando mi hai comunicato che quell’essere spregevole era morto, e credo che leggendo, forse, queste righe mi capirai.
Un abbraccio la tua bimba.

Michele

2 commenti:

  1. Avevo letto questo tuo racconto anni fa, quando ero giovane e l'esperienza di cui parli la sentivo più o meno estranea. Adesso che sono padre di bambini e specialmente di bambine, l'impatto è molto più forte. Perché mi pare di capire che il dolore è doppio: la violenza concreta subita, da una parte, e poi l'impossibilità di parlarne, di comunicarla ad altri, di doverla portare sempre con sé come una ferita aperta e sanguinante.

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  2. La vita molte volte porta a riconsiderare le cose..........perlomeno a persone con una mentalità aperta e non ottusa!!!!

    MdW

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